Che l’Australia fosse una delle mete da sogno di tante persone era ormai scontato.
Ma che diventasse anche uno dei mercati più attraenti per i luxury brand forse era un po’ meno scontato.
Sydney sta diventando sempre più “lussuosa”.
Da Burberry che – forte di una crescita del fatturato del 30% nell’ultimo trimestre 2010 – ha portato il suo flagship in George Street a 820 mq, triplicando quello precedente (ma Louis Vuitton non sarà da meno, aprendo nel prossimo novembre 1200 mq nella stessa via, lasciando il suo precedente spazio di Castlereagh Street a Dior); a TAG Heuer che ha aperto a Sydney la boutique più prestigiosa e costosa, che però dopo soli due mesi ha ricambiato diventando il loro punto vendita n.1 al mondo. Da Prada che sta per aprire un negozio ad insegna Miu Miu all’ingresso del complesso di Westfield (che ha altri ospiti di prestigio: Bottega Veneta, Diane von Furstenberg, Hugo Boss, TAG Heuer e Salvatore Ferragamo); a Gucci che si sta per spostare in Castlereagh Street (come Ermenegildo Zegna e Chanel che aprirà entro l’anno) con un nuovo negozio su due piani.
Insomma, il segmento lusso in Australia (e quando parliamo di Australia si parla praticamente di Sydney per ora) sta vivendo un vero e proprio boom di ottimismo (e di fatturato).
Dall’altra parte, i segmenti lowcost – da American Apparel a H&M per citare le insegne internazionali – stanno soffrendo, sia per l’incremento dei costi delle materie prime (dal petrolio al cotone) che ha ridotto la loro marginalità, ma anche per i volumi di vendita.
Un segno di “evoluzione” nella moda da parte degli australiani più abbienti che – come gli statunitensi ormai da qualche decennio – cominciano ad apprezzare il buon gusto e la qualità nell’abbigliamento (quando sono stata in Australia, solo 5 anni fa, il look – quando non era da surfista – era quasi completamente uniformato allo stile della profonda provincia americana, non certo a quello di NYC), investendo sempre di più nelle griffe.
Annamaria Cofano